Ecco il tanto sospirato link, le traduzioni non ci sono ancora, quindi per chi non sa il dialetto trentino il consiglio è di ascoltare Guido e Giorgio.
Che dire se non buon ascolto e fatemi sapere il vostro parere!
http://www.comune.mezzolombardo.tn.it/informa/s_tarter/tesilaurea.htm
sabato 9 febbraio 2008
giovedì 31 gennaio 2008
File audio on-line
A breve gli estratti delle interviste raccolte dovrebbero essere on-line, più avanti verrà aggiunta anche la traduzione dei singoli file per rendere più accessibile a tutti l'ascolto e la comprensione delle testimonianze.
Appena sarà tutto pronto vi comunicherò il link!
Appena sarà tutto pronto vi comunicherò il link!
giovedì 10 gennaio 2008
Sesta intervista 03.01.2008 ARTURO
Arturo inizia il suo racconto da quando hanno proclamato l’entrata in guerra, quel giorno si trovava a Fai della Paganella in colonia.
Durante il primo periodo della guerra mi dice che si soffriva molto la mancanza di notizie dei parenti, anche perché quelle che arrivavano non erano reali.
La fame la sentiva soprattutto chi non faceva il contadino. Con l’arrivo dei militari tedeschi, mi spiega Arturo, iniziarono anche i bombardamenti a San Michele, Ora e al ponte dei Vodi (tutti posti in cui passava la ferrovia). Tanta gente aveva talmente paura che entrava nel rifugio la mattina e usciva la sera.
Arturo per un periodo aveva avuto paura e andava anche lui al rifugio, per un altro periodo invece quando suonava l’allarme saliva sul tetto per vedere meglio gli aerei.
I militari tedeschi, mi racconta, erano in quasi tutte le case, avevano occupato qualunque camera o casa libera, tutti i cortili.
Da lui c’erano due soldati, uno faceva il fotografo e l’altro invece portava gli ordini da una parte all’altra, due persone tranquille che la sera si sedevano con il padre di Arturo a bere un bicchiere di vino e fare quattro chiacchiere. Arturo mi dice che era interessante girare di notte, era tutto buio e non si riconoscevano le persone.
Poi ricorda di quando l’hanno caricato sul camion per portarlo a riparare la ferrovia, ma lui era troppo piccolo, per fortuna c’era un signore che lo conosceva e che sapeva il tedesco e così l’hanno lasciato andare.
Il giorno della liberazione ricorda che lui e altri ragazzi sono andati nei depositi dei tedeschi, hanno preso i razzi e hanno illuminato tutta la via. Quando sono arrivati gli americani, mi dice che hanno visto il primo nero, sapevano che queste persone esistevano, ma non ne avevano mai visto uno dal vivo. I soldati americani distribuivano da mangiare a pranzo.
Durante il giorno lavorava per una famiglia di contadini, se suonava l’allarme quando era in campagna lui continuava a lavorare, qualche volta andava a nascondersi con gli altri in cantina. La campagna era vicno al ponte di San Michele e un giorno che sono arrivati i bombardieri si è nascosto nel brenz (vasca in cui si mette il veleno), questo si muoveva per lo spostamento d’aria.
Il problema maggiore era quando si tornava a casa lungo gli argini del torrente Noce, qui infatti vi erano dei bidoni da cui veniva liberata una polvere per far sì che chi voleva bombardare non vedesse nulla, questa polvere era molto fastidiosa e si faceva fatica a respirare.
Arturo mi racconta che appena finita la guerra si andava nei depositi tedeschi abbandonati a racimolare qualcosa, un giono stava andando a San Michele dove sapeva che c’era un deposito di stoffa, sulla strada passa un camion di soldati americani da cui cade uno scatolone. Lo scatolone era pieno di caffè miscela “Leone”, erano anni che il caffè non si vedeva. Lui e il suo amico sono tornati a casa con gli zaini pieni di caffè.
Anche Arturo mi propone delle riflessioni sull’epoca in questione, una volta per un kilo di sale ha portato ad una famiglia quattro quintali di legna. Lui andava in montagna a fare raccogliere la legna con altri ragazzi, ovviamente non si poteva e quindi scendevano, con la neve, di notte per non essere presi.
Poi mi racconta dei contadini che venivano dalla Val di Non a portare le loro merci, le bestie erano così abituate a fare sempre la solita strada che tornavano a casa da sole, quello che guidava il carro poteva anche dormire.Così conclude il suo racconto.
Durante il primo periodo della guerra mi dice che si soffriva molto la mancanza di notizie dei parenti, anche perché quelle che arrivavano non erano reali.
La fame la sentiva soprattutto chi non faceva il contadino. Con l’arrivo dei militari tedeschi, mi spiega Arturo, iniziarono anche i bombardamenti a San Michele, Ora e al ponte dei Vodi (tutti posti in cui passava la ferrovia). Tanta gente aveva talmente paura che entrava nel rifugio la mattina e usciva la sera.
Arturo per un periodo aveva avuto paura e andava anche lui al rifugio, per un altro periodo invece quando suonava l’allarme saliva sul tetto per vedere meglio gli aerei.
I militari tedeschi, mi racconta, erano in quasi tutte le case, avevano occupato qualunque camera o casa libera, tutti i cortili.
Da lui c’erano due soldati, uno faceva il fotografo e l’altro invece portava gli ordini da una parte all’altra, due persone tranquille che la sera si sedevano con il padre di Arturo a bere un bicchiere di vino e fare quattro chiacchiere. Arturo mi dice che era interessante girare di notte, era tutto buio e non si riconoscevano le persone.
Poi ricorda di quando l’hanno caricato sul camion per portarlo a riparare la ferrovia, ma lui era troppo piccolo, per fortuna c’era un signore che lo conosceva e che sapeva il tedesco e così l’hanno lasciato andare.
Il giorno della liberazione ricorda che lui e altri ragazzi sono andati nei depositi dei tedeschi, hanno preso i razzi e hanno illuminato tutta la via. Quando sono arrivati gli americani, mi dice che hanno visto il primo nero, sapevano che queste persone esistevano, ma non ne avevano mai visto uno dal vivo. I soldati americani distribuivano da mangiare a pranzo.
Durante il giorno lavorava per una famiglia di contadini, se suonava l’allarme quando era in campagna lui continuava a lavorare, qualche volta andava a nascondersi con gli altri in cantina. La campagna era vicno al ponte di San Michele e un giorno che sono arrivati i bombardieri si è nascosto nel brenz (vasca in cui si mette il veleno), questo si muoveva per lo spostamento d’aria.
Il problema maggiore era quando si tornava a casa lungo gli argini del torrente Noce, qui infatti vi erano dei bidoni da cui veniva liberata una polvere per far sì che chi voleva bombardare non vedesse nulla, questa polvere era molto fastidiosa e si faceva fatica a respirare.
Arturo mi racconta che appena finita la guerra si andava nei depositi tedeschi abbandonati a racimolare qualcosa, un giono stava andando a San Michele dove sapeva che c’era un deposito di stoffa, sulla strada passa un camion di soldati americani da cui cade uno scatolone. Lo scatolone era pieno di caffè miscela “Leone”, erano anni che il caffè non si vedeva. Lui e il suo amico sono tornati a casa con gli zaini pieni di caffè.
Anche Arturo mi propone delle riflessioni sull’epoca in questione, una volta per un kilo di sale ha portato ad una famiglia quattro quintali di legna. Lui andava in montagna a fare raccogliere la legna con altri ragazzi, ovviamente non si poteva e quindi scendevano, con la neve, di notte per non essere presi.
Poi mi racconta dei contadini che venivano dalla Val di Non a portare le loro merci, le bestie erano così abituate a fare sempre la solita strada che tornavano a casa da sole, quello che guidava il carro poteva anche dormire.Così conclude il suo racconto.
sabato 22 dicembre 2007
Quinta intervista 19.12.2007 GUIDO
Guido inizia raccontandomi che è il più giovane di 12 figli, mi parla della sua famiglia così numerosa, troppo numerosa e poi mi fa un quadro generale del periodo storico di cui stiamo parlando. Mi dice che mancava il pane sulla tavola che prima che mettessero la tessera annonaria.
Il primo episodio che mi racconta è quello delle bombe in via Trento, come quasi tutti i giorni c’è stato un preallarme, c’è chi aveva paura e chi meno, e quello era proprio il suo caso. Il cessato allarme non c’era stato ma metà della gente era uscita. Dopo che le bombe sono scoppiate ricorda grida di terrore, gente che scappava, 6 morti è il triste bilancio, fra cui una sua coetanea decapitata da una scheggia, Guido ha cercato quella scheggia e tutt’oggi la conserva.
La sua era una famiglia di contadini, di mezzadri. Un giorno era in campagna da solo “ero abbastanza stremì…”, era abbastanza impaurito perché stavano passando i bombardieri, lì vicino c’era la contraerea tedesca mimetizzata e le trincee in cui stavano i soldati, uno di questi soldati è salito dalla trincea, ha preso Guido e l’ha portato con sé al riparo e gli ha fatto sparare all’aereo con la mitragliatrice, un ricordo bellissimo.
Un altro episodi invece successo di notte, un camion tedesco cercava riapro sotto il grande albero fuori da casa di Guido, era carico di tantissime armi. I militari erano in quattro più il comandante, ad un certo punto se ne vanno, ma lasciano lì sotto l’albero un po’ di queste armi, Guido e un suo amico le prendono e le nascondono in casa. Dopo un po’ i militari tornano e si fermano questa volta in un piazzale a 200 metri da casa di Guido, che li ha seguiti, qui prendono dei rotoli, circa 5 rotoli, di banconote, le Lire e li bruciano, hanno abbandonato altre armi e poi si sono diretti verso Bolzano (quindi a nord).
Guido poi mi dice che la cosa che più gli è dispiaciuta è di aver perso due anni di scuola, perché solo dopo si capisce il valore di queste cose. Riflette un po’ di questo e mi parla dei ragazzi di oggi, di come li vede lui.Poi mi racconta come fosse difficile al tempo bombardare il ponte dei Vodi e che il Pippo passava praticamente tutte le notti, era un aereo anonimo, non risapeva e non si capiva da dove partiva anche perché era un aereo abbastanza piccolo ma disseminava il terrore.
Mi racconta di uno dei suoi fratelli che è riuscito a non andare militare e che ha vissuto per tutta la durata del conflitto nascondendosi, mi racconta anche del modo di vivere del tempo, del rapporto fra marito e moglie.
La guerra è cattiva ma alla fine ti insegna a crescere.
Anche lui accenna al bombardamento in campagna di cui mi hanno parlato Maria e Carmela, l’unica protezione che avevano dalle bombe erano le preghiere che le sue tre sorelle continuavano a ripetere.
Nel febbraio del 1945 i militari tedeschi avevano requisito un treno pieno di grano e visto che avevano instaurato un certo tipo di rapporto con loro, un rapporto di amicizia. Una meravigliosa mattina di febbraio, come l’ha definita Guido questi militari hanno portato del grano alla famiglia di Guido, hanno fatto firmare un buono per rendere ufficiale la fornitura, era tantissimo tempo che non si vedeva del grano per fare il pane.
Della settimana della liberazione definita “el rebalton” (il caos), nessuno capiva più niente, ricorda in particolare gli americani che distribuivano le gallette. I militari americani erano delle figure completamente diverse dai militari tedeschi, non sembravano quasi soldati.
Un altro episodio che mi racconta Guido è che un giorno era in campagna, inizia a piovere e decidono di tornare a casa. Le sue sorelle vanno a piedi e lui con il carro, quando era sul ponte sono arrivati i bombardieri, l’allarme non l’aveva sentito, probabilmente perché era troppo lontano. Il bue si è spaventato e Guido è finito sotto le ruote del carro con le gambe, per fortuna dietro a lui c’era un contadino a cavallo che l’ha portato a casa. Poi l’hanno portato in ospedale, ma tutti erano nascosti in cantina per il bombardamento, finché un medico ha visto Guido e l’ha visitato, la gamba era rotta perciò ha dovuto mettergli il gesso da solo.
Guido si ricorda anche che lui e i suoi amici raccoglievano le schegge delle bombe e le portavano al raccoglitore di ferro che li pagava. L’ultimo episodio che mi racconta riguarda un fatto tragico, un giorno avevano marinato la scuola e avevano deciso di far scoppiare delle bombe a mano. Hanno acceso un fuoco e si sono messi attorno e vi hanno gettato le bombe. Uno dei ragazzi è morto, Guido commenta questo fatto e mi parla della loro incoscienza.Mi propone ancora alcune riflessioni storiche e politiche, sul periodo in questione e sul presente.
Il primo episodio che mi racconta è quello delle bombe in via Trento, come quasi tutti i giorni c’è stato un preallarme, c’è chi aveva paura e chi meno, e quello era proprio il suo caso. Il cessato allarme non c’era stato ma metà della gente era uscita. Dopo che le bombe sono scoppiate ricorda grida di terrore, gente che scappava, 6 morti è il triste bilancio, fra cui una sua coetanea decapitata da una scheggia, Guido ha cercato quella scheggia e tutt’oggi la conserva.
La sua era una famiglia di contadini, di mezzadri. Un giorno era in campagna da solo “ero abbastanza stremì…”, era abbastanza impaurito perché stavano passando i bombardieri, lì vicino c’era la contraerea tedesca mimetizzata e le trincee in cui stavano i soldati, uno di questi soldati è salito dalla trincea, ha preso Guido e l’ha portato con sé al riparo e gli ha fatto sparare all’aereo con la mitragliatrice, un ricordo bellissimo.
Un altro episodi invece successo di notte, un camion tedesco cercava riapro sotto il grande albero fuori da casa di Guido, era carico di tantissime armi. I militari erano in quattro più il comandante, ad un certo punto se ne vanno, ma lasciano lì sotto l’albero un po’ di queste armi, Guido e un suo amico le prendono e le nascondono in casa. Dopo un po’ i militari tornano e si fermano questa volta in un piazzale a 200 metri da casa di Guido, che li ha seguiti, qui prendono dei rotoli, circa 5 rotoli, di banconote, le Lire e li bruciano, hanno abbandonato altre armi e poi si sono diretti verso Bolzano (quindi a nord).
Guido poi mi dice che la cosa che più gli è dispiaciuta è di aver perso due anni di scuola, perché solo dopo si capisce il valore di queste cose. Riflette un po’ di questo e mi parla dei ragazzi di oggi, di come li vede lui.Poi mi racconta come fosse difficile al tempo bombardare il ponte dei Vodi e che il Pippo passava praticamente tutte le notti, era un aereo anonimo, non risapeva e non si capiva da dove partiva anche perché era un aereo abbastanza piccolo ma disseminava il terrore.
Mi racconta di uno dei suoi fratelli che è riuscito a non andare militare e che ha vissuto per tutta la durata del conflitto nascondendosi, mi racconta anche del modo di vivere del tempo, del rapporto fra marito e moglie.
La guerra è cattiva ma alla fine ti insegna a crescere.
Anche lui accenna al bombardamento in campagna di cui mi hanno parlato Maria e Carmela, l’unica protezione che avevano dalle bombe erano le preghiere che le sue tre sorelle continuavano a ripetere.
Nel febbraio del 1945 i militari tedeschi avevano requisito un treno pieno di grano e visto che avevano instaurato un certo tipo di rapporto con loro, un rapporto di amicizia. Una meravigliosa mattina di febbraio, come l’ha definita Guido questi militari hanno portato del grano alla famiglia di Guido, hanno fatto firmare un buono per rendere ufficiale la fornitura, era tantissimo tempo che non si vedeva del grano per fare il pane.
Della settimana della liberazione definita “el rebalton” (il caos), nessuno capiva più niente, ricorda in particolare gli americani che distribuivano le gallette. I militari americani erano delle figure completamente diverse dai militari tedeschi, non sembravano quasi soldati.
Un altro episodio che mi racconta Guido è che un giorno era in campagna, inizia a piovere e decidono di tornare a casa. Le sue sorelle vanno a piedi e lui con il carro, quando era sul ponte sono arrivati i bombardieri, l’allarme non l’aveva sentito, probabilmente perché era troppo lontano. Il bue si è spaventato e Guido è finito sotto le ruote del carro con le gambe, per fortuna dietro a lui c’era un contadino a cavallo che l’ha portato a casa. Poi l’hanno portato in ospedale, ma tutti erano nascosti in cantina per il bombardamento, finché un medico ha visto Guido e l’ha visitato, la gamba era rotta perciò ha dovuto mettergli il gesso da solo.
Guido si ricorda anche che lui e i suoi amici raccoglievano le schegge delle bombe e le portavano al raccoglitore di ferro che li pagava. L’ultimo episodio che mi racconta riguarda un fatto tragico, un giorno avevano marinato la scuola e avevano deciso di far scoppiare delle bombe a mano. Hanno acceso un fuoco e si sono messi attorno e vi hanno gettato le bombe. Uno dei ragazzi è morto, Guido commenta questo fatto e mi parla della loro incoscienza.Mi propone ancora alcune riflessioni storiche e politiche, sul periodo in questione e sul presente.
Quarta intervista 18.12.2007 GIORGIO
Giorgio inizia raccontandomi che suo padre ha acquistato il castello di Mezzolombardo nel 1939 e quando lui è arrivato nella sua nuova casa c’erano gli alpini, poi successivamente sono venuti i paracadutisti tedeschi.
Dal castello si vedeva tutta la linea ferroviaria bombardata.
Quando è avvenuto il bombardamento sul Piaz tutti erano spensierati, ma dopo si sono resi conto che era pericoloso, quella volta per fortuna non ci sono stati feriti, le bombe sono cadute sulla montagna sopra il paese, ci sono stati solo un po’ di detriti caduti per le strade, ma nemmeno un ferito.
Giorgio ricorda i militari tedeschi al castello, erano dei principalmente dei genieri e al mattino c’era l’istruttore che faceva lezioni su come si mettevano le bombe “io stavo lì dietro gli scuri a guardare”.
Con loro i tedeschi si sono sempre comportati bene, solo una volta hanno rubato due damigiane di vino, suo padre allora l’ha riferito al comandante, che ha fatto mettere tutti i soldati sull’attenti con la maschera antigas per far saltare fuori il colpevole, che non si è mai rivelato.
Un giorno Giorgio era in paese e c’era un carroarmato che arrivava a grande velocità e ha svoltato all’ultimo secondo proprio quando pensava che gli sarebbe andato addosso.
Quando sono arrivati gli americani al castello si ricorda che erano dei tipi totalmente diversi, più alla mano, avevano tutto un altro sistema, forse anche perché avevano vinto.
I militari tedeschi avevano bisogno di manodopera e radunavano perciò tutti i ragazzi dai 14 anni in su per andare a riparare la ferrovia durante la notte. Anche Giorgio è andato a fare questo lavoro per due settimane, era pericoloso anche perché poi la notte passava il Pippo e loro dovevano scappare e nascondersi.
I bombardamenti, mi racconta, avvenivano almeno tre volte alla settimana, mi descrive come erano fatte le bombe e le fortezze volanti che passavano in cielo, quando bombardavano la ferrovia lui correva in giardino a guardare, si vedevano lampi fumo e poi arrivava il rumore.
Verso la fine del suo racconto fa delle riflessioni sulla guerra con delle sue considerazioni personali su come sono andate le cose.
Poi gli tornano alla mente i militari tedeschi, un paio di volte si sono messi in assetto di guerra e facevano veramente paura, ma chissà anche loro quante ne hanno passate, dice Giorgio.
Ogni tanto veniva la Gestapo a controllare e dovevano preparare un stanza apposta.
Dopo la liberazione si vedevano i caccia americani passare all’altezza del muro di cinta del castello, erano vicinissimi si vedeva dentro perfino il pilota.
Ma soprattutto una delle cose che Giorgio ricorda era che c’era una grande miseria, anche se lui la guerra non l’ha sentita molto perché era piccolo e più spensierato.
Dal castello si vedeva tutta la linea ferroviaria bombardata.
Quando è avvenuto il bombardamento sul Piaz tutti erano spensierati, ma dopo si sono resi conto che era pericoloso, quella volta per fortuna non ci sono stati feriti, le bombe sono cadute sulla montagna sopra il paese, ci sono stati solo un po’ di detriti caduti per le strade, ma nemmeno un ferito.
Giorgio ricorda i militari tedeschi al castello, erano dei principalmente dei genieri e al mattino c’era l’istruttore che faceva lezioni su come si mettevano le bombe “io stavo lì dietro gli scuri a guardare”.
Con loro i tedeschi si sono sempre comportati bene, solo una volta hanno rubato due damigiane di vino, suo padre allora l’ha riferito al comandante, che ha fatto mettere tutti i soldati sull’attenti con la maschera antigas per far saltare fuori il colpevole, che non si è mai rivelato.
Un giorno Giorgio era in paese e c’era un carroarmato che arrivava a grande velocità e ha svoltato all’ultimo secondo proprio quando pensava che gli sarebbe andato addosso.
Quando sono arrivati gli americani al castello si ricorda che erano dei tipi totalmente diversi, più alla mano, avevano tutto un altro sistema, forse anche perché avevano vinto.
I militari tedeschi avevano bisogno di manodopera e radunavano perciò tutti i ragazzi dai 14 anni in su per andare a riparare la ferrovia durante la notte. Anche Giorgio è andato a fare questo lavoro per due settimane, era pericoloso anche perché poi la notte passava il Pippo e loro dovevano scappare e nascondersi.
I bombardamenti, mi racconta, avvenivano almeno tre volte alla settimana, mi descrive come erano fatte le bombe e le fortezze volanti che passavano in cielo, quando bombardavano la ferrovia lui correva in giardino a guardare, si vedevano lampi fumo e poi arrivava il rumore.
Verso la fine del suo racconto fa delle riflessioni sulla guerra con delle sue considerazioni personali su come sono andate le cose.
Poi gli tornano alla mente i militari tedeschi, un paio di volte si sono messi in assetto di guerra e facevano veramente paura, ma chissà anche loro quante ne hanno passate, dice Giorgio.
Ogni tanto veniva la Gestapo a controllare e dovevano preparare un stanza apposta.
Dopo la liberazione si vedevano i caccia americani passare all’altezza del muro di cinta del castello, erano vicinissimi si vedeva dentro perfino il pilota.
Ma soprattutto una delle cose che Giorgio ricorda era che c’era una grande miseria, anche se lui la guerra non l’ha sentita molto perché era piccolo e più spensierato.
venerdì 21 dicembre 2007
Terza intervista 18.12.2007 EMMA
Emma inizia parlandomi del rifugio dove andava quando c’era l’allarme, era pieno di pidocchi.
Il giorno in cui c’è stato il bombardamento in via Trento (lei abitava nelle vicinanze), si trovava a casa, mentre sua madre era al rifugio terrorizzata con la sorella più piccola di appena due anni. Durante tutta l’intervista continua a ripetere “o Dio mio che no vegna altre guere…”.
Del bombardamento dell’8 aprile si ricorda l’impressione che le hanno fatto i morti sopra i carri.Poi mi racconta di come si svolgeva la vita in generale, per mangiare bisognava fare la fila con la tessera, loro avevano diritto a più latte perché c’era sua sorella che era piccola.
Loro non erano contadini, suo padre faceva l’operaio, quando trovava lavoro, i militari tedeschi reclutavano gli uomini per mettere a posto la ferrovia, ma suo padre non voleva andare così venivano a prenderlo e lo mettevano in prigione.Questi militari erano di guardia alla stazione e all’ex segheria Borga e la sera lei e una sua compagna andavano a vedere se trovavano qualche legnetto per accendere il fuoco da portare a casa.
Un giorno lei e la sua amica vanno a raccogliere questi legnetti e un tedesco le vede e dà loro un’asse, una bella asse da lavoro. Tornano a casa e incontrano un carabiniere, l’altra ragazza scappa e Emma rimane sola con quest’asse, il carabiniere le chiede dove ha preso l’asse e le dice che deve essere suo padre che va a prendere la legna.
Poi mi parla di oggi di quanto spreco c’è e del fato che non si riesce ad apprezzare tutto quello che c’è da mangiare se non si ha mai avuto fame veramente.
L’allarme era una costante della vita in quel periodo, suonava quasi tutti i giorni, soprattutto gli ultimi anni, poi la notte c’era il Pippo.
Emma andava da una signora che le insegnava a cucire con altre ragazze, andavano anche di sera. Una notte erano in quattro e stavano tornando a casa, accompagnate le prime due le e un’altra vedono qualcuno sbucare fuori da un muro, erano le 11 di sera e avevano molta paura. Non volevano muoversi perché non capivano chi fosse né cosa volesse finché non è arrivata la mamma di un’altra ragazza e le ha accompagnate a casa. La notte non sono più andate dalla signora a cucire anche perché aveva promesso che se andava la sera le avrebbe dato 1 Lira, che invece Emma non ha mai ricevuto.Conclude dicendomi che sono tristi ricordi.
Il giorno in cui c’è stato il bombardamento in via Trento (lei abitava nelle vicinanze), si trovava a casa, mentre sua madre era al rifugio terrorizzata con la sorella più piccola di appena due anni. Durante tutta l’intervista continua a ripetere “o Dio mio che no vegna altre guere…”.
Del bombardamento dell’8 aprile si ricorda l’impressione che le hanno fatto i morti sopra i carri.Poi mi racconta di come si svolgeva la vita in generale, per mangiare bisognava fare la fila con la tessera, loro avevano diritto a più latte perché c’era sua sorella che era piccola.
Loro non erano contadini, suo padre faceva l’operaio, quando trovava lavoro, i militari tedeschi reclutavano gli uomini per mettere a posto la ferrovia, ma suo padre non voleva andare così venivano a prenderlo e lo mettevano in prigione.Questi militari erano di guardia alla stazione e all’ex segheria Borga e la sera lei e una sua compagna andavano a vedere se trovavano qualche legnetto per accendere il fuoco da portare a casa.
Un giorno lei e la sua amica vanno a raccogliere questi legnetti e un tedesco le vede e dà loro un’asse, una bella asse da lavoro. Tornano a casa e incontrano un carabiniere, l’altra ragazza scappa e Emma rimane sola con quest’asse, il carabiniere le chiede dove ha preso l’asse e le dice che deve essere suo padre che va a prendere la legna.
Poi mi parla di oggi di quanto spreco c’è e del fato che non si riesce ad apprezzare tutto quello che c’è da mangiare se non si ha mai avuto fame veramente.
L’allarme era una costante della vita in quel periodo, suonava quasi tutti i giorni, soprattutto gli ultimi anni, poi la notte c’era il Pippo.
Emma andava da una signora che le insegnava a cucire con altre ragazze, andavano anche di sera. Una notte erano in quattro e stavano tornando a casa, accompagnate le prime due le e un’altra vedono qualcuno sbucare fuori da un muro, erano le 11 di sera e avevano molta paura. Non volevano muoversi perché non capivano chi fosse né cosa volesse finché non è arrivata la mamma di un’altra ragazza e le ha accompagnate a casa. La notte non sono più andate dalla signora a cucire anche perché aveva promesso che se andava la sera le avrebbe dato 1 Lira, che invece Emma non ha mai ricevuto.Conclude dicendomi che sono tristi ricordi.
giovedì 20 dicembre 2007
Seconda intervista 18.12.07 CARMELA
La signora Carmela è sorella della signora Maria. Allo scoppio della seconda guerra mondiale aveva 14anni, a differenza della sorella lei ha sempre avuto una grande paura durante la guerra.
Prima di iniziare l'intervista mi ha parlato un po' della sua famiglia e poi mi ha detto che sta scrivendo un libro della sua vita "sì perchè l'è ricordi da lassar", sono ricordi da lasciare, le cose si hanno in testa ma poi svaniscono e bisogna che resti qualcosa perchè così si possono leggere e tornano alla mente e se ne può ricavare qualcosa.
La prima cosa che mi dice è che si ricorda la fame di quegli anni, una fabbrica che dava stoffa a poco prezzo alle famiglie numerose (erano 12 fratelli), anche lei mi ha raccontato dei militari tedeschi accampati presso l'ex segheria Borga (che ora non esiste più).
Carmela mi dice che non le sembrava di avere vent'anni, ma piuttosto quaranta, non ci pensava, non aveva il tempo per pensare alle cose belle:"...ma no i sentivi vinti me pareva de averne quaranta forse, no ghe pensavi, no se gaveva el tempo materiale de pensar a altre bele robe come la gioventù".
Lei tutti i giorni andava in campagna con suo padre, lei era la più paurosa, qundo suonava l'allarme correva al rifugio.
Finita la guerra, quando c'erano i temporali e sentiva i tuoni balzava dalla paura.
Quando rilasciavano i fumogeni Carmela scappava dalla campagna e correva al rifugio e appena suonava il cessato allarme correva nuovamente in campagna.
E la notte l'oscuramento perchè c'era il Pippo che passava e se vedeva una luce bombardava.
Poi mi racconta del bombardamento dell'8 aprile 1945, che causò 6vittime, tra cui alcune persone della famiglia di suo marito, che si è salvato scappando ed è stato colpito da una scheggia. Queste persone erano uscite prima del cessato allarme dal rifugio (nella foto l'entrata del rifugio) e dicono che lo sgancio di queste bombe sia stato uno sbaglio.
Poi la signora Carmela mi racconta di un altro bombardamento avvenuto sul Piaz a Mezzolombardo, senza vittime questa volta. La signora Carmela stava andando dalle suore Canossiane a imparare a cucire e si è nascosta in chiesa. Con lo spostamento d'aria erano caduti dei sassi dalla montagna, ma niente di più.
Mi racconta dei militari tedeschi accampati nel cortile di quella che oggi è una discoteca (St. Louis), lei e sua sorella si mettevano lì davanti con una scodella e si facevano dare la pasta.
Il giorno della liberazione se lo ricorda benissimo "'na gioia, la tranquillità de dir che bel me movi, no senti pù la sirena, no me scondi pù, no gh'è pù l'oscuramento, bel da matti" (una gioia, la tranquillità di dire che bello posso muovermi liberamente non c'è più l'allarme dei bombardamenti, non mi devo più nascondere, non c'è più l'oscuramente è stato bellissimo).
Coclude il suo racconto con un episodio che mi ha raccontato anche la signora Maria, erano in campagna, loro due, un'altra sorella Lidia e il loro fratello più piccolo Guido, appena arrivati in campagna suona l'allarme e si nascondono in un "tombino", dentro ad un tubo di quelli dove passa l'acqua per irrigare i campi, sono rimasti lì finchè non hanno finito di bombardare, tutte e tre sopra il loro fratellino per proteggerlo.
Prima di iniziare l'intervista mi ha parlato un po' della sua famiglia e poi mi ha detto che sta scrivendo un libro della sua vita "sì perchè l'è ricordi da lassar", sono ricordi da lasciare, le cose si hanno in testa ma poi svaniscono e bisogna che resti qualcosa perchè così si possono leggere e tornano alla mente e se ne può ricavare qualcosa.
La prima cosa che mi dice è che si ricorda la fame di quegli anni, una fabbrica che dava stoffa a poco prezzo alle famiglie numerose (erano 12 fratelli), anche lei mi ha raccontato dei militari tedeschi accampati presso l'ex segheria Borga (che ora non esiste più).
Carmela mi dice che non le sembrava di avere vent'anni, ma piuttosto quaranta, non ci pensava, non aveva il tempo per pensare alle cose belle:"...ma no i sentivi vinti me pareva de averne quaranta forse, no ghe pensavi, no se gaveva el tempo materiale de pensar a altre bele robe come la gioventù".
Lei tutti i giorni andava in campagna con suo padre, lei era la più paurosa, qundo suonava l'allarme correva al rifugio.
Finita la guerra, quando c'erano i temporali e sentiva i tuoni balzava dalla paura.
Quando rilasciavano i fumogeni Carmela scappava dalla campagna e correva al rifugio e appena suonava il cessato allarme correva nuovamente in campagna.
E la notte l'oscuramento perchè c'era il Pippo che passava e se vedeva una luce bombardava.
Poi mi racconta del bombardamento dell'8 aprile 1945, che causò 6vittime, tra cui alcune persone della famiglia di suo marito, che si è salvato scappando ed è stato colpito da una scheggia. Queste persone erano uscite prima del cessato allarme dal rifugio (nella foto l'entrata del rifugio) e dicono che lo sgancio di queste bombe sia stato uno sbaglio.
Poi la signora Carmela mi racconta di un altro bombardamento avvenuto sul Piaz a Mezzolombardo, senza vittime questa volta. La signora Carmela stava andando dalle suore Canossiane a imparare a cucire e si è nascosta in chiesa. Con lo spostamento d'aria erano caduti dei sassi dalla montagna, ma niente di più.
Mi racconta dei militari tedeschi accampati nel cortile di quella che oggi è una discoteca (St. Louis), lei e sua sorella si mettevano lì davanti con una scodella e si facevano dare la pasta.
Il giorno della liberazione se lo ricorda benissimo "'na gioia, la tranquillità de dir che bel me movi, no senti pù la sirena, no me scondi pù, no gh'è pù l'oscuramento, bel da matti" (una gioia, la tranquillità di dire che bello posso muovermi liberamente non c'è più l'allarme dei bombardamenti, non mi devo più nascondere, non c'è più l'oscuramente è stato bellissimo).
Coclude il suo racconto con un episodio che mi ha raccontato anche la signora Maria, erano in campagna, loro due, un'altra sorella Lidia e il loro fratello più piccolo Guido, appena arrivati in campagna suona l'allarme e si nascondono in un "tombino", dentro ad un tubo di quelli dove passa l'acqua per irrigare i campi, sono rimasti lì finchè non hanno finito di bombardare, tutte e tre sopra il loro fratellino per proteggerlo.
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